Ambienti aperti alpini - Uccelli da proteggere

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Ambienti aperti alpini

Pernice bianca, di P.Jaccod
 

Nel gran cerchio de l’alpi, su ’l granito
squallido e scialbo, su’ ghiacciai candenti,
regna sereno intenso ed infinito
nel suo grande silenzio il mezzodí.
Pini ed abeti senza aura di venti
si drizzano nel sol che gli penètra,
sola garrisce in picciol suon di cetra
l’acqua che tenue tra i sassi fluí.  

Giosuè Carducci - Mezzogiorno alpino

Là, dove il bosco cede il passo alle praterie d’alta quota. Dove qualche sparuto Pino mugo punteggia prati altrimenti spogli, eppure verdissimi, sottratti per pochi mesi l’anno alla copertura candida del manto nevoso. Oppure più in basso, dove prati e pascoli hanno offerto per secoli, agli abitanti delle vallate alpine, un supporto prezioso per l’allevamento del bestiame.

Secoli di equilibrio tra uomo e natura, in parte compromesso dal boom economico, quando all’allevamento si è sostituito il turismo di massa, quando le praterie sono state puntellate di baite, rifugi, funivie e altre infrastrutture per accogliere gli sciatori. Un ambiente prima ideale per il completamento del ciclo riproduttivo di diverse specie di uccelli che si è fatto via via inospitale, portando il disturbo da parte dell’uomo, armato di fuoristrada, elicotteri e motoslitte, anche alle quote più elevate.

Lo stesso abbandono della pastorizia tradizionale – concentrando in valle i pochi allevamenti rimasti – ha portato a un progressivo recupero del bosco, a svantaggio della prateria e del pascolo, con effetti nefasti su tutte quelle specie le cui esigenze ecologiche contrastano con un eccessiva copertura forestale. Anche i pascoli residui, per la verità, non rappresentano più ambienti “sicuri”: qui, lo sfalcio meccanizzato unito all’utilizzo di fertilizzanti, causa spesso la distruzione dei nidi e aumenta la mortalità dei pulcini.

Infine la maggiore accessibilità, conseguente alla costruzione di strade e altre infrastrutture. Con l’effetto non solo di una maggiore accessibilità da parte dei turisti, che si dimostrano non sempre rispettosi dell’ambiente circostante. Anche cacciatori e bracconieri da qualche decennio possono raggiungere molto più facilmente le aree più remote della catena alpina, con conseguenze spesso devastanti su popolazioni già ridotte ai minimi termini.