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Countdown 2010

Correva l’anno 2004. L’Unione Europea si riunisce a Malahide e lancia il famoso “Message from Malahide", che in seguito ispirerà la strategia della stessa Ue in materia di biodiversità. Parallelamente la IUCN – The World Conservation Union, il maggiore network mondiale per la conservazione della natura – lancia il Countdown 2010. Secondo il network, che riunisce circa 100 Stati, più di 200 agenzie governative e oltre 900 Ong, il 2010 avrebbe dovuto costituire un vero e proprio spartiacque nell’approccio dei singoli Stati alla materia della biodiversità.

Queste, in concreto, le previsioni della IUCN: istituire almeno il 10% del territorio su scala globale come “aree protette”; incentivare l’agricoltura biologica; perseguire una pratica “sostenibile” della pesca; frenare l’urbanizzazione selvaggia; combattere i cambiamenti climatici e adottare comunque strategie per mitigare il loro impatto sulle specie animali e vegetali; fermare lo stravolgimento degli habitat causato dall’introduzione artificiale di specie; infine, più importante, integrare la biodiversità in tutti i processi di “policy making ”.

Important Bird Areas (IBA) – Aree importanti per gli uccelli

Un obiettivo raggiunto? Non proprio. A livello mondiale, il 13% delle specie è minacciato di estinzione. Molte di più sono le specie in declino o in stato di salute non soddisfacente, mentre il declino della “diversità biologica” pare inarrestabile, a tutte le latitudini.

Marangone minore, www.justbirds.it

Ma conviene fare un passo indietro, per rendere onore ai grandi passi avanti compiuti a livello internazionale per diffondere, da un lato, una nuova sensibilità sul tema della biodiversità, dall’altro, per mettere in campo azioni concrete per la sua difesa, per stimolare l’adozione, da parte dei Governi e degli enti sovranazionali – quali l’Unione Europea – di legislazioni stringenti e vincolanti in materia.

La prima “azione globale” per la tutela degli uccelli selvatici – e probabilmente la prima azione globale per la difesa della biodiversità nel suo complesso – porta il marchio di BirdLife  International , il network internazionale per la difesa dell’avifauna, in Italia rappresentato dalla LIPU. Si chiama “programma IBA”, acronimo di “Important Bird Areas ”, aree importanti per gli uccelli.

Il primo programma IBA nasce nel 1981 grazie a un incarico conferito della Commissione europea all’ICBP (International Council for Bird Preservation , oggi BirdLife International ) per l’individuazione delle aree prioritarie per la conservazione degli uccelli selvatici in Europa. Un’azione “locale”, dunque? Niente affatto: veri e propri pionieri in materia di biodiversità – l’Unione Europea aveva approvato già nel 1979 la Direttiva Uccelli, mentre solo nel 1992 si arriva a formalizzare la Direttiva Habitat – l’Europa comunitaria e il network internazionale per la conservazione dell’avifauna si erano posti un obiettivo molto più ambizioso: cominciare dall’Europa, per poi diffondere il progetto in tutto il mondo.

“È impossibile, sia dal punto di vista pratico che finanziario, sviluppare progetti separati per la conservazione di ognuna delle specie a rischio nel mondo – scrive BirdLife International  nella presentazione del “programma IBA” – perciò è stato individuato quale elemento chiave l’identificazione di particolari siti, importanti per un insieme di specie”. Ad oggi, esiste ovviamente una rete europea delle IBA. Ma anche una rete africana, americana, asiatica, fino a Medio Oriente, area del Pacifico, Antartide. L’ultima ambizione di BirdLife è stata quella di individuare Aree Importanti per gli Uccelli anche in mare aperto, appunto le IBA marine, per non trascurare quelle specie “pelagiche” (cioè che passano la maggior parte della loro vita in mare) che più di altre sfuggono a misure di protezione adottate dai singoli Stati.

Cicogna nera, www.justbirds.it

Attualmente, quella delle IBA ha assunto i connotati di una vera e propria rete globale per la difesa dell’avifauna. L’Italia contribuisce a questa rete globale con 172 aree che coprono una superficie pari a 5 milioni di ettari, circa il 16% del territorio nazionale. La loro individuazione – il primo inventario risale al 1989, l’ultimo al 2002 – è servita molto spesso come base per la designazione delle Zone di Protezione Speciale . Attualmente, il 71% della superficie delle IBA è anche ZPS (Zone di Protezione Speciale).

La Convenzione internazionale per la biodiversità

Come è impossibile difendere le specie “una ad una” – da cui il concetto di IBA – è altrettanto impossibile difendere gli uccelli senza occuparsi della tutela più generale degli ambienti che li ospitano e, per conseguenza, dell’intero ecosistema che comprende non solo gli uccelli, ma anche mammiferi, rettili, insetti, pesci, anfibi, insomma, tutte le specie viventi che contribuiscono all’equilibrio dell’ecosistema stesso. Un ecosistema che in linea di principio contiene a pieno titolo la specie umana, purtroppo prima responsabile di aver sovvertito questo equilibrio, ma comunque parte in causa.

Nasce da questi presupposti una nuova sensibilità – interna sia al mondo istituzionale sia ambientalista – che ha portato da un lato l’Europa comunitaria a formalizzare la Direttiva Habitat, nel 1992, dall’altro, un primo gruppo di Paesi a sottoscrivere, nello stesso anno, la Convenzione Internazionale per

Biodiversità, www.justbirds.it

la Diversità Biologica. I due tasselli “mancanti”, insomma, per trasformare le azioni globali per la difesa degli uccelli selvatici in azioni globali per la difesa degli ambienti, degli ecosistemi, in pratica di tutti gli organismi viventi della terra, uomo compreso.

La Convenzione Internazionale per la Diversità Biologica, siglata durante il Summit mondiale dei capi di Stato di Rio de Janeiro, può in particolare essere considerata come il primo documento in assoluto che si propone di tutelare l'equilibrio di tutti gli ecosistemi e di tutti gli organismi viventi della Terra, ponendo la biodiversità quale condizione preliminare a qualsiasi azione più specifica mirata a determinati ambienti, specie o ecosistemi.

Sottoscritta inizialmente dai leader di 150 Paesi, oggi la convenzione è condivisa da ben 192 Stati, e costituisce un punto di riferimento essenziale per le altre convenzioni o accordi internazionali siglati in ambiti più specifici. Valenza globale hanno anche le ulteriori due Convenzioni proposte e sottoscritte nella stessa sede, ossia la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e la Convenzione contro la desertificazione.

Se l'ambizione della Convenzione per la Diversità Biologica è generale – la tutela di tutte le specie e di tutti gli ambienti della Terra – il suo obiettivo è però molto concreto, cioè fare in modo che la tutela della biodiversità diventi parte integrante delle politiche e delle azioni degli Stati, diventi, insomma, pratica quotidiana. Mentre la stessa Convenzione si preoccupa di ampliare il concetto di diversità biologica, da semplice "somma" – l'insieme delle piante, animali, micro-organismi ed ecosistemi della Terra – a pietra angolare della naturale necessità dell'uomo di vivere in un mondo ospitale, sicuro, salubre.

Un concetto particolarmente innovativo, esplicitato in modo efficace nella presentazione della Convenzione. "The natural environment provides the basic conditions without which humanity could not survive": l'ambiente naturale ci fornisce le condizioni base senza le quali l'umanità non potrebbe sopravvivere. Queste condizioni si realizzano all'interno di quella sottilissima fascia denominata "biosfera". Prosegue la Convenzione: "Biological diversity – the variability of life on Earth – is the key to the ability of the biosphere to continue providing us with these ecological goods and services and thus is our species’ life assurance policy". Insomma, la diversità biologica – la varietà della vita sulla Terra – è la chiave per permettere alla biosfera di fornirci i 'beni e servizi' essenziali per la nostra esistenza, rappresentando perciò, per la nostra especie, una vera e propria assicurazione sulla vita.

Dalle parole ai fatti

Circa trent’anni sono trascorsi dalla prima norma comunitaria in materia di avifauna selvatica. Quasi venti, oramai, dalla Direttiva Habitat e dalla sottoscrizione della Convenzione Internazionale per la Diversità Biologica. È dunque tempo di bilanci. Dal punto di vista culturale, i passi in avanti sono stati immensi. Oggi nessuno mette in dubbio il valore – anche economico – del concetto di biodiversità. Anche nel mondo scientifico sono sempre meno gli “scettici” che assegnano all’uomo un ruolo dopotutto secondario nel determinare il destino degli ecosistemi e – più in generale – le grandi trasformazioni che stanno colpendo il nostro Pianeta, su tutti i cambiamenti climatici.

Eppure, l’obiettivo di arrestare il declino della biodiversità entro il 2010 – stabilito dal famoso Countdown – può dirsi sostanzialmente fallito. Ogni anno, una quantità non indifferente di specie viventi smette di esistere o viene confinata in ambiti sempre più ristretti del globo. Pur tra adesioni formali, poi, non tutti i Paesi firmatari della Convenzione hanno davvero  messo in campo politiche volte ad arrestare il declino della biodiversità. Gli stessi Stati Uniti, che giocano evidentemente un ruolo chiave nell’attuazione degli accordi internazionali, hanno firmato la Convenzione nel 1993, senza però tuttora ratificarla. Insomma, è oramai chiaro come la maggior parte della distanza che separa gli obiettivi posti trent’anni fa dalla situazione reale in cui versano le specie e gli ambienti sia ancora in gran parte da colmare.