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La strategia Ue per la biodiversità

Direttive comunitarie, ZPS e ZSC, quindi Rete Natura 2000. Per completare il “mosaico” di strumenti volti alla tutela e alla difesa della biodiversità all’interno dell’Unione Europea, le istituzioni comunitarie hanno deciso, nel 2006, di predisporre un vero e proprio Piano d’Azione per la Biodiversità, un programma di lavoro dettagliato che – all’indomani del recepimento da parte dell’Ue dell’obiettivo disposto dal “Countdown” – fissava appunto al 2010 l’anno in cui segnare una vera e propria inversione di rotta in materia di biodiversità.

Voltolino, di F. Veronesi

Nonostante, a qualche anno di distanza, l’obiettivo fissato dal Countdown non sia stato raggiunto, il Piano d’Azione sulla Biodiversità non è affatto rimasto – come purtroppo molti protocolli siglati a livello globale – un’affermazione di principio. Notevoli passi avanti sono stati fatti grazie all’implementazione degli strumenti già previsti dal diritto comunitario, a cominciare dalle due Direttive, che restano il “faro” per l’intera materia. Per esempio, la Rete Natura 2000 copre ad oggi ben il 17% del territorio dell’Ue.

Lo stesso “fallimento” dell’obiettivo posto dal Countdown non ha lasciato indifferenti le istituzioni comunitarie, che si sono dotate nel 2011 di una Strategia Ue per la Biodiversità. Di fatto completata la designazione dei siti terrestri di Rete Natura 2000, per quanto concerne i siti marini la data per completare la rete è il 2012. Le basi della strategia sono ben descritte dalla “Comunicazione” inviata dalla Commissione il 19 gennaio 2010 a Parlamento, Consiglio europeo, Comitato economico e sociale e Comitato delle Regioni – nella quale si scrive come sia necessario, in prospettiva, un miglior coordinamento strategico delle diverse politiche comunitarie: “In particolare – si legge nel documento – le politiche in materia di suolo e di specie invasive devono essere sviluppate ulteriormente, perché sono cruciali per far fronte alla perdita di biodiversità”. Largamente insufficienti risultano, scrive ancora la Commissione, le disposizioni introdotte dalla Politica Agricola Comune. Le stesse misure di conservazione della biodiversità oggi in essere non affronterebbero adeguatamente la problematica dei “servizi ecosistemici”. Un termine complesso che indica in realtà un concetto abbastanza banale, per quanto trascurato, e cioè la dipendenza da parte dell’intera umanità da una serie di “ecosistemi vitali” che, per sintetizzare, comprendono la formazione del suolo e il ciclo dei nutrienti (servizi di supporto), la produzione di cibo, acqua potabile, materiali e combustibili (servizi di fornitura), la regolazione del clima e delle maree, la depurazione dell’acqua, l’impollinazione e il controllo delle infestazioni (servizi di regolazione). Infine i servizi culturali, siano essi estetici, spirituali, educativi, ricreativi.

In pratica, la prossima sfida potrebbe essere quella di legare strettamente il concetto di biodiversità a quello, più generale, di servizi ecosistemici. Scrive ancora la Commissione: “La biodiversità e i servizi ecosistemici – il capitale naturale mondiale – devono essere preservati, valutati e, nei limiti del possibile, ripristinati per il loro valore intrinseco, in modo che possano continuare a sostenere la prosperità economica e il benessere umano ed eventuali mutamenti catastrofici legati alla perdita di biodiversità”.

La Strategia Ue per la Biodiversità fissa al 2020 il limite entro il quale arrestare non solo la perdita di biodiversità, ma anche, più in generale, il degrado dei servizi ecosistemici e - ove possibile - procedere al loro ripristino La chiave di tutto, affermare fin da ora – per legge e nella pratica – che la biodiversità ha un valore anche e soprattutto economico, recuperando e ampliando il significato letterale di economia quale scienza che studia la quantità e le qualità delle relazioni tra gli uomini, le specie viventi, l’ambiente – l’eco-sistema, appunto – nel suo complesso.