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Cosa è cambiato

Ogni anno, nel periodo tra aprile e maggio, oltre 20mila rapaci in migrazione raggiungono il versante calabrese dello Stretto di Messina. Si tratta delle popolazioni di ritorno dai quartieri di svernamento, dirette nei siti di nidificazione posti nell’Italia peninsulare o nell’Europa centro-settentrionale.

Da sempre perseguitati dai cacciatori – oggi diventati bracconieri grazie alle leggi che tutelano molte specie di uccelli, tra cui tutti i rapaci – questi uccelli sono particolarmente esposti quando, a causa di condizioni meteorologiche avverse o forti venti meridionali, come lo scirocco, sono costretti a volare a quote più basse per raggiungere l’altra sponda. È in questi casi che i bracconieri attaccano, talvolta da bunker fissi in legno o cemento, altre volte direttamente dalle terrazze delle abitazioni.

Da questo punto di vista è cambiato molto, in meglio, con un’azione di contrasto sempre più decisa a questa pratica, che pure ogni anno continua a mietere centinaia di vittime. Dal Falco pecchiaiolo – la cui popolazione in transito sullo Stretto di Messina è pari a più della metà del totale dei rapaci di passaggio – al Nibbio Bruno, dal Falco cuculo al Lodolaio, dall’Albanella minore e pallida al Gheppio, fino al Capovaccaio – peraltro in via d’estinzione – e alla Cicogna bianca e nera: queste le vittime predestinate che ogni anno vengono ritrovate sul terreno o direttamente nelle mani dei bracconieri colti in flagranza di reato.

Altre incognite, comunque, pesano sul futuro dei corridoi di migrazione. Infrastrutture già esistenti, altre in progetto, possono avere un impatto notevole su questi siti, proprio in quanto passaggio obbligato per le specie. Particolarmente impattanti a livello locale – sullo Stretto e non solo – possono poi essere tutte quelle strutture di origine umana quali tralicci, antenne, elettrodotti: in generale, tutte le strutture – ponti compresi – di altezza superiore a 30 m possono essere causa di mortalità diretta per le specie in transito.