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La conservazione

Pernice bianca, di L. Sebastiani

Cosa significa conservazione delle specie? Da un lato, è sinonimo, per l’Italia, di un obbligo di legge. L’articolo 17 della Direttiva Habitat  – emanata nel 1992, a diversi anni di distanza dalla Direttiva Uccelli  – specifica chiaramente che è compito degli Stati membri fornire una valutazione dello stato di conservazione attuale delle specie e degli habitat.

Come dire, che l’obbligo di conservare – vincolante per quelle specie elencate dalle Direttive comunitarie – si traduce anzitutto nell’obbligo di conoscere. Come emerge dalle singole schede presentate in questo sito, sono ancora moltissimi gli aspetti che meritano un approfondimento. Parametri non noti o basati su un campione statistico insufficiente, biologia riproduttiva non adeguatamente approfondita, addirittura – talvolta – trend demografico e distribuzione in gran parte sconosciuti.

Questo senza nulla togliere ai notevoli passi avanti compiuti negli ultimi anni, in termini di studi, conoscenze, approfondimenti, sensibilità istituzionale e sensibilità collettiva. Ma se conservare le specie significa anzitutto conoscerle – il che non può prescindere dalla messa a punto di una metodologia  standardizzata e scientificamente valida – il passo successivo, nonché parte integrante del concetto di conservazione, è chiedersi quali misure mettere in atto per migliorare lo stato di salute delle popolazioni in difficoltà.

Azioni che possono essere condotte a moltissimi livelli. Il primo è quello istituzionale, che coinvolge non solo gli Stati e i Governi, ma anche quelle associazioni che da anni, a livello mondiale, studiano le problematiche dell’avifauna nonché degli habitat e delle specie diverse dagli uccelli. Da BirdLife International alla IUCN – The World Conservation Union – il valore di questi enti sta appunto nella capacità di operare a livello transnazionale, fungendo da anello di collegamento tra esperti, attivisti, volontari, ma anche istituzioni, impegnate nella messa a punto di azioni e politiche a sostegno dell’avifauna e della biodiversità.

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Azioni globali, dunque, e nessuna forma di vita meglio degli uccelli rende l’idea di quanto le politiche di conservazione della biodiversità – intesa come diversità all’interno delle specie e diversità tra le specie viventi – non possano essere in alcun modo efficaci senza un coordinamento che prescinda il più possibile dai confini amministrativi posti dagli uomini. Lo dimostrano gli uccelli, e lo dimostrano ancor più i migratori, che viaggiano ogni anno tra l’Europa e l’Africa, o le specie pelagiche, che si muovono all’interno del Mediterraneo quasi si trattasse di un grande lago e non di un mare diviso tra una pluralità di Stati sovrani e ben tre continenti.

Dal livello globale si passa poi a quello “intermedio”, che per quanto riguarda il nostro Paese corrisponde all’Unione Europea, che già da molti anni si è dimostrata particolarmente sensibile a queste tematiche. Già nel 1979 l’allora CEE aveva varato una Direttiva per la salvaguardia degli uccelli selvatici, nota come Direttiva Uccelli, giungendo 13 anni più tardi a formalizzare la Direttiva Habitat, per la protezione più generale degli habitat naturali e delle specie diverse dagli uccelli.

Da queste Direttive nasce Rete Natura 2000 , la Rete europea di siti, Zone di Protezione Speciale (ZPS) e Zone Speciali di Conservazione (ZSC), per la conservazione della biodiversità. In particolare la rete di Zone di Protezione Speciale, specifica per gli Uccelli, nasce sulla base del progetto IBA (Important Bird Areas, Aree Importanti per gli Uccelli) curato da BirdLife, rappresentato in Italia dalla LIPU. Infine aderendo allo stesso Countdown 2010, ossia l’obiettivo, posto dalla IUCN nel 2004, di arrestare il declino della biodiversità entro il 2010, un anno che avrebbe dovuto costituire un vero e proprio spartiacque nell’approccio dei singoli Stati al tema della diversità biologica.

volontari

E l’Italia? Sostanziale, come specificato dalle stesse Direttive, è il ruolo degli Stati. Sono gli Stati a doversi occupare – e preoccupare – di implementare indagini conoscitive sulle specie tutelate. Sono sempre gli Stati a dover individuare e istituire, con criteri omogenei e su basi scientificamente fondate, ZPS e ZSC che, mediante iter diversi, entrano a poi far parte di Rete Natura 2000. Insomma, per l’Italia si delinea un ruolo chiave, sia per l’implementazione delle previsioni delle due Direttive, sia, in base al principio di sussidiarietà, per raccogliere tutte quelle segnalazioni ricevute dalle Regioni che costituiscono premessa necessaria per arrivare a una corretta identificazione di queste aree. Un ruolo chiave, infine, per disciplinare tutta questa materia tramite un quadro legislativo chiaro e coerente – dalla legge 157 sulla caccia  alla legge 394 sulle aree protette  – che possa fungere da punto di riferimento per gli enti locali e per i cittadini.

Infine, appunto, i cittadini. A chi pensasse che la tutela degli uccelli sia materia per esperti, grandi associazioni, al limite Stati o istituzioni internazionali, si può rispondere che ognuno di noi, nella propria vita quotidiana, contribuisce in modo spesso determinante alla tutela (o al declino) di molte delle popolazioni di uccelli selvatici che nidificano o sostano nel nostro Paese per migrare o svernare. Adottare certi comportamenti quotidiani, a casa, in vacanza, sul lavoro, può contribuire in modo sostanziale alla tutela delle specie, sia quelle che hanno instaurato con l’uomo un rapporto di “simbiosi” (nidificando in pascoli, risaie, aree agricole), sia quelle che evitano il più possibile il contatto con l’uomo (come molte specie di rapaci).

Comportamenti quotidiani che devono essere dunque ricompresi a pieno titolo in un’efficace strategia di conservazione dell’avifauna, anche se – come è facile intuire – non sempre le nostre abitudini di vita, di consumo, in generale di comportamento, risultano in linea con le esigenze ecologiche degli uccelli selvatici. Ma anche qui molte cose sono cambiate: sempre più persone si rendono conto che, il più delle volte, le azioni necessarie per salvaguardare o favorire uccelli ed altre specie selvatiche sono abbastanza semplici, poco costose e impegnative. Per tornare, anche qui, al significato principale della parola conservazione, che pare discendere come conseguenza inevitabile – e virtuosa – da un incremento e da un miglioramento delle conoscenze, a tutti i livelli.

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