GIPETO - Uccelli da proteggere

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Uccelli da proteggere
 
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Specie particolarmente protette dalla Direttiva UccelliSpecie particolarmente protette dalla Direttiva Uccelli
 

Specie particolarmente protette dalla Direttiva UccelliGIPETO

NOME SCIENTIFICO: Gypaetus barbatus
 

Il più “saggio” tra gli avvoltoi, con quella barba bianca e folta. Il più saggio e il più grande, tra le specie di avvoltoio che abitano il Vecchio continente. Ad ali spiegate, questo uccello può misurare poco meno di tre metri. Ma la parte più affascinante e inquietante al tempo stesso resta il volto, chiaro, su cui risalta l’iride giallo contornato di rosso. Un rosso che si fa più vivo, quando il Gipeto adocchia la sua preda…

 

Ordine: Falconiformi  Famiglia: Coraciidae

“Avvoltoio barbuto”: questo il nome comune del Gipeto, un grande avvoltoio caratterizzato da un folto ciuffo di piume bianche sul volto, in netto contrasto con il resto del piumaggio, tendenzialmente scuro. Un uccello sedentario, che si avventura in spostamenti ripetuti solo durante la giovinezza, per poi stabilirsi in una determinata area e restarvi per tutto il resto della vita.

In Europa, il Gipeto è presente soprattutto nei Pirenei e nella Spagna centrale, in Corsica e – piuttosto raro – in alcune aree balcaniche. L’Italia ospita poche coppie nidificanti sulle Alpi centro-occidentali, tra Trentino e Lombardia, frutto di un recente progetto di reintroduzione. Anticamente buon predatore, il Gipeto è attualmente un uccello tendenzialmente – o quasi esclusivamente – necrofago.

Dalla lunghezza superiore al metro – la sola coda supera i 40 cm – e un’apertura alare che può sfiorare i 3 m negli esemplari adulti più grandi, il Gipeto non muta il proprio aspetto al variare delle stagioni, né è agevole distinguere i sessi sulla base del solo piumaggio, tendenzialmente grigio-scuro. Utile, in questo caso, approfondire l’origine latina del nome, gyps , che significa avvoltoio, e aetos , aquila, ad indicare la somiglianza di questo uccello più a un Corvo imperiale o a un grande falcone piuttosto che a un avvoltoio in senso stretto.

Amante delle regioni impervie, il Gipeto adora frequentare ambienti inospitali quali pareti rocciose e aspri valloni, senza però lasciarsi sfuggire qualche planata sugli altipiani, dove magari trovare qualche carcassa. Resti di ungulati selvatici e/o domestici costituiscono infatti, nella pratica, l’unico “piatto” nel menu quotidiano del Gipeto, che addirittura si preoccupa di trasportare le ossa più lunghe sopra rocce appuntite, per poi lasciarle cadere, in modo che si frantumino e possano quindi essere ingoiate più facilmente.

Prospettive

Fortunatamente, le coppie reintrodotte sono state avvistate regolarmente non solo sullo Stelvio – area originaria di reintroduzione – ma su gran parte dell’arco alpino, dalle Alpi Marittime al Gran Paradiso, dalle Alpi Retiche allo Stelvio e all’Adamello, fino al Gruppo del Brenta. Un nuovo progetto di reintroduzione mira poi a riportare la specie anche in Sardegna, grazie anche alla vicina popolazione corsa che attualmente conta circa 8 coppie, per 30 individui complessivi.

Attualmente, le minacce più incombenti sulla specie alpina riguardano il disturbo ai siti riproduttivi: anche pratiche all’apparenza innocue come volo a bassa quota o arrampicata sportiva possono avere conseguenze nefaste sulla popolazione, senza contare il problema dell’abbandono dei pascoli, che hanno ridotto da un lato la disponibilità di cibo, dall’altro gli ambienti aperti, particolarmente importanti per la specie.

Purtroppo anche il recente progetto di reintroduzione in Sardegna è fallito a cusa dell’utilizzo di bocconi avvelenati e risulta quindi di fondamentale importanza in Italia come in Europa procedere all’istituzione di aree protette, circostanti i siti di nidificazione, per favorire la riproduzione e limitando il disturbo da parte dell’uomo oltre, naturalmente, a impedire atti di persecuzione diretta.

Altre misure importanti per la conservazione e la ripresa del Gipeto consistono nel ripristino di popolazioni di ungulati selvatici e nella reintroduzione della specie stessa nelle aree dove questa si è estinta. Non risulta comunque possibile formulare un Valore di Riferimento Favorevole (FRV) per questa specie in Italia, essendo solo di recente entrata a far parte dell’avifauna nidificante nel nostro Paese. Resta comunque utile stimare quella che potrebbe essere una Minima Popolazione Vitale in grado di autosostenersi sulle Alpi – non solo italiane – nel medio e lungo periodo: considerati gli attuali tassi di mortalità e successo riproduttivo, tale popolazione dovrebbe consistere in almeno 190 individui, il che implica un aumento di almeno il 50% della popolazione attuale.

Minacce

Il Gipeto non ha resistito, fondamentalmente, alla persecuzione diretta. A questa è infatti da attribuirsi la totale estinzione della specie nel nostro Paese. L’uso di bocconi avvelenati, unito agli abbattimenti, ha infatti decimato e azzerato la popolazione alpina e, qualche decennio più tardi, anche la popolazione sarda.

Durante la propria vita, il Gipeto abita un’areale amplissimo, anche centinaia di km quadrati. Lo si rinviene tra i mille e i 3mila metri, anche se non di rado alcuni individui possono spingersi oltre i 4mila. Preferisce strapiombi rocciosi verticali, su valli dove tipicamente si formano correnti calde ascensionali.

Una specie particolarmente esigente, che preferisce nidificare in luoghi dove sia facilitato l’accesso all’acqua dolce e allo stesso tempo siano presenti rocce appuntite sulle quali far cadere le grandi ossa della preda, prima di divorarle. Ogni coppia può avere fino a 5 nidi alternativi nel territorio, costruiti di solito in piccole caverne rocciose.

Bassissimo il successo riproduttivo – meno di un giovane involato per coppia monitorata – anche se l’esiguità delle coppie presenti non consentono di proporre percentuali statisticamente significative. Maltempo, inesperienza degli adulti, interazioni aggressive con altri gipeti o aquile reali e disturbo antropico costituiscono i principali fattori in grado di compromettere la riuscita della nidificazione. Anche il Corvo imperiale, grande predatore di uova, può rappresentare una minaccia per la specie, che ha comunque risentito moltissimo – oltre che delle mutate condizioni climatiche e della persecuzione diretta – dell’abbandono di molte delle attività agro-pastorali che costituivano l’unica fonte di sostentamento per il Gipeto.

Stato di salute

Longevo e tendenzialmente monogamo – può vivere anche oltre 25 anni mentre la coppia nidificante può occupare un territorio anche di diverse centinaia di km quadrati – il Gipeto si è estinto sulle Alpi all’inizio del XX secolo. Un’estinzione che è andata di pari passo con un drammatico declino nell’intera area comunitaria e continentale, negli ultimi due secoli.

Ad oggi, il Gipeto è classificato come specie “vulnerabile” nell’Unione europea, con stato di conservazione sfavorevole anche a scala continentale. La popolazione “comunitaria” era infatti ridotta a sole 130 coppie nel 2000, pari al 13-21% di quella continentale, che dunque, anche secondo le migliori stime, non può superare il migliaio di coppie complessive.

Se pure in grande sofferenza, diversamente da altre specie, il Gipeto ha conosciuto un significativo incremento, in Europa, tra il 1970 e il 2000, portando la popolazione dell’Unione Europea dalle 130 coppie del 2000 alle attuali 600-620, per la maggior parte dislocate in Spagna, versanti alpini non italiani e Turchia. E in Italia? Nell’areale dove è stato reintrodotto, sono state censite, nel 2008, tra le 4 e le 5 coppie, pari all’1% della popolazione europea complessiva.

Oggetto di un Piano d’Azione Internazionale, il Gipeto risulta protetto a livello comunitario dalla Direttiva Uccelli, ed è particolarmente tutelato in Italia dalla legislazione venatoria vigente. Il progetto per la reintroduzione della specie sulle Alpi in generale – popolazione italiana compresa – ha preso avvio nel 1986, con 9 coppie complessive di cui 3 sul versante italiano, nell’area dello Stelvio. Comunque un passo avanti, considerando che l’ultimo esemplare di Gipeto sulle Alpi italiane era stato avvistato – e ucciso – in Val d’Aosta, nel 1913, anche se l’ultima segnalazione a livello nazionale riguarda la Sardegna, che ospitava, fino alla fine degli anni Sessanta, una popolazione consistente.

Semaforo

Il successo finora mostrato dal progetto di reintroduzione in atto sulle Alpi – unito all’occupazione di diversi siti di nidificazione sull’arco alpino – rappresentano un buon segno e lasciano quindi ben sperare per il futuro della specie. Resta inteso che la popolazione ancora ridotta e la distribuzione comunque nettamente inferiore rispetto all’epoca precedente l’estinzione, rendono tuttora inadeguato lo stato di conservazione di questa specie.

Fattore Stato di salute Stato di conservazione
Range* in espansione ma ancora ridotto cattivo
Popolazione in espansione ma ancora molto esigua cattivo
Habitat della specie verosimilmente stabile favorevole
Complessivo   cattivo

*Variazione della popolazione negli anni

Canto

Nelle valli tra lo Stelvio e l’Adamello, dopo quasi un secolo, è tornato a risuonare il canto del Gipeto, per poi espandersi nelle vallate circostanti. Difficile un incontro faccia a faccia, considerando che una sola coppia può vagare in un’area anche di centinaia di km quadrati, mentre le coppie totali presenti in Italia – disperse su un’areale che va molto al di là di quello originario di reintroduzione – attualmente non sono più di cinque. Con un po’ di fortuna, si potrà comunque udire il richiamo dell’“avvoltoio barbuto”, in volo sopra una delle tante valli assolate e impervie presenti sull’arco alpino: la melodia canora viene introdotta da un lungo sibilo, piuttosto acuto e penetrante, che si arresta tutto d’un tratto, per lasciar posto a un suono più grave e breve.