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Cosa è cambiato

Chissà se Ulisse e i suoi compagni hanno udito davvero le berte maggiori. Chissà – tornando all’oggi – se prima o poi l’intero Mediterraneo sarà considerato come un immenso patrimonio di biodiversità da tutelare a prescindere dai confini tra gli Stati.

Nel frattempo, vanno evidenziati i cambiamenti subiti dalla maggior parte di questi siti in un’area, quella del Mediterraneo, che ospita, da sola, un terzo del turismo internazionale. Allo stato attuale, infatti, buona parte delle colonie di uccelli marini sono localizzate su piccole isole, spesso siti impervi di difficile accesso o comunque scarsamente adatti alla frequentazione turistica. Una scelta obbligata, per specie assolutamente intolleranti alla presenza umana, anche se alcune colonie – tipico è l’esempio del Gabbiano corso – sono poste in aree pianeggianti e particolarmente esposte al disturbo da parte dell’uomo.

Prima minaccia generale, dunque, quella dell’eccessivo sfruttamento turistico, che riguarda il complesso dei siti costieri mediterranei e buona parte dei siti insulari. Altre due attività umane hanno però causato, se possibile, minacce ancora più importanti a queste specie: l’inquinamento – con migliaia di tonnellate di scarichi urbani e industriali che finiscono nel Mar Mediterraneo ogni anno – e la pesca, un fattore importantissimo di mortalità diretta per gli uccelli marini, oltre che, localmente, causa di degrado della quantità e della qualità di prede disponibili, per uccelli che si nutrono sostanzialmente di pesce.

Infine i predatori. Non solo quelli naturali, ma anche e soprattutto quelli introdotti artificialmente dall’uomo, cani e gatti rinselvatichiti, ghiotti di uova e di pulcini. Quindi il ratto nero, che ha conosciuto una preoccupante diffusione in moltissimi dei siti che ospitano colonie di uccelli marini, riducendo ai minimi termini il successo riproduttivo di questi uccelli e mettendo a repentaglio la sopravvivenza di intere colonie.