Colonie di uccelli marini
"Alle Sirene giungerai da prima,
che affascìnan chiunque i lidi loro
con la sua prora veleggiando tocca.
Chiunque i lidi incautamente afferra
delle Sirene, e n’ode il canto, a lui
né la sposa fedel, né i cari figli
verranno incontro su le soglie in festa.
[…]
Tu veloce oltrepassa, e con mollita
cera de’ tuoi così l’orecchio tura,
che non vi possa penetrar la voce.
Odila tu, se vuoi; sol che diritto
te della nave all’albero i compagni
leghino, e i piedi stringanti, e le mani;
perché il diletto di sentir la voce
delle Sirene tu non perda. E dove
pregassi o comandassi a’ tuoi di sciorti,
le ritorte raddoppino ed i lacci.
Poiché trascorso tu sarai, due vie
ti s’apriranno innanzi; ed io non dico,
qual più giovi pigliar, ma, come d’ambo
ragionato t’avrò, tu stesso il pensa."
Odissea, libro XII 52-77
L’intera letteratura classica, da Omero in poi, è pervasa dal “mito delle Sirene”. Quelle creature mitologiche dal canto meraviglioso, eppure in grado di far perder la ragione ai marinai di passaggio. Tra le varie interpretazioni possibili del mito, ce n’è una particolarmente affascinante: forse, l’eroe di Itaca e i suoi marinai si erano semplicemente imbattuti in una colonia di berte maggiori, quegli uccelli marini dal canto inquietante e affascinante allo stesso tempo, udibile anche dal mare, dove questi uccelli trascorrono peraltro la maggior parte della propria vita.
Isole, isolotti, estreme propaggini dell’Italia meridionale e insulare. Questi i siti tipicamente prescelti dagli uccelli marini per completare il proprio ciclo riproduttivo. Spesso, si tratta di specie particolarmente legate al mare aperto, dove trascorrono la maggior parte della propria esistenza spostandosi alla ricerca di cibo.
La terra, per questi uccelli, rappresenta di solito un semplice punto d’appoggio, per quanto importante, per costruire il nido e per allevare i pulcini. Emblematico, ancora una volta, l’esempio delle berte, che trascorrono viaggi di centinaia di km, da una parte all’altra del Canale di Sicilia, per tornare quindi alle colonie – la più famosa, quella di Linosa, nelle Isole Pelagie – al tramonto, con il pesce nel becco, per sfamare i piccoli che attendono nei nidi dislocati lungo scoscese e inaccessibili pareti rocciose.
Gli uccelli marini sono forse le specie più affascinanti e allo stesso tempo più difficili da tutelare. Arduo ipotizzare infatti un piano efficace di tutela delle principali colonie dislocate nel Mediterraneo senza coinvolgere tutti i principali Paesi che le ospitano. Diviso tra tre continenti e una pluralità di Stati sovrani, il “mare nostrum ” può essere invece considerato come un unico grande ecosistema. Probabilmente era più facile comprenderlo al tempo degli antichi, quando le grandi navi erano il sistema più efficace per spostarsi da un luogo all’altro, quando gli antichi eroi come Ulisse proseguivano il loro incessante pellegrinaggio alla ricerca di una meta il cui fascino stava appunto nell’essere mutevole, irraggiungibile, sempre diversa e sempre uguale a se stessa, in quanto necessariamente posta tra l’Egeo e le “Colonne d’Ercole”.