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Gli effetti sugli uccelli

Specie caratteristiche delle zone umide sono le Strolaghe (Gavia spp.), gli Svassi (Podiceps spp.), il Marangone minore (Phalacrocorax pygmaeus ), il Fenicottero (Phoenicopterus ruber ), gli Ardeidi (Ardeidae ), la Spatola (Platalea leucorodia ), Mignattaio (Plegadis falcinellus ), gli Anatidi (Anatidae ), il Falco di palude (Circus aeruginosus ), il Nibbio bruno (Milvus migrans ), i Rallidi (Rallidae ), la Pernice di mare (Glareola pratincola ), i Limicoli (Charadriiformes ), i Laridi (Laridae ), gli Sternidi (Sternidae ), il Forapaglie castagnolo (Acrocephalus melanopogon ).

La restrizione degli habitat idonei ha effetti evidenti sulle popolazioni nidificanti. Sempre più concentrate in pochi siti – e proprio per questo particolarmente esposte anche a singoli eventi negativi – le popolazioni di uccelli selvatici che nidificano nelle aree umide (o che le utilizzano come importanti luoghi di sosta o svernamento), si trovano a fronteggiare tutta una serie di minacce, che vanno dall’inquinamento – data la vicinanza di importanti complessi industriali – alla pressione venatoria, fino alla mancanza o al degrado di tutta una serie di ambienti “misti”, quali stagni d’acqua bassa temporaneamente allagati, compromessi quasi del tutto dalla costruzione degli argini.

Questo quadro riguarda in modo particolare le zone umide dell’Alto Adriatico, uno dei siti più importanti a livello europeo per l’avifauna, ma anche altre zone umide costiere che vanno dalla Toscana al Lazio, dalla Puglia alla Sicilia, fino alle vaste paludi del Golfo di Cagliari. Analoghi peraltro i principali problemi che attanagliano queste aree e – per conseguenza – le specie caratteristiche che in esse completano il proprio ciclo riproduttivo: anche più a sud, crescente urbanizzazione e antropizzazione delle coste, eccessivo sfruttamento turistico, fino a bracconaggio e abusivismo edilizio hanno messo in ginocchio molte delle popolazioni di uccelli nidificanti, svernanti, o in sosta durante la migrazione. Una situazione aggravata da siccità sempre più frequenti, con estesi prosciugamenti durante la stagione estiva favoriti anche dall’eccessivo prelievo idrico dalle stesse zone umide. Uno scenario che potrebbe aggravarsi di pari passo con il riscaldamento climatico globale e con la scarsità cronica d’acqua che coinvolge molte delle regioni dell’Italia meridionale.

Alla contrazione e al degrado delle zone umide, fa da contrappeso lo sviluppo di formazioni artificiali quali risaie, casse di espansione, invasi artificiali che insieme ai grandi laghi delle aree interne fanno parte integrante di questa tipologia ambientale. Di origine prettamente umana, risaie e altre coltivazioni “allagate” hanno costituito per decenni un habitat “alternativo” ideale per molte specie: anche qui però il meccanismo si è talvolta inceppato, a causa della modifica delle tecniche colturali che prevedono oggi allagamenti meno frequenti. Talvolta, anche siti densamente antropizzati quali bacini di depurazione delle acque, cave abbandonate, laghi per la pesca sportiva, possono costituire un supporto vitale per alcune delle specie tipiche delle zone umide scomparse. Anche qui però livello delle acque, qualità della vegetazione e delle prede, tipo di attività antropica presente, hanno influenzato in maniera determinante la potenziale idoneità di questi siti, che hanno compensato solo a livello locale e per alcune delle specie qui considerate la carenza di aree umide tradizionali.