La legge sulla tutela della fauna e la regolamentazione della caccia - Uccelli da proteggere

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La legge sulla tutela della fauna e la regolamentazione della caccia

Articolo 1 della legge 157/1992: “L a fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale”. Conviene partire proprio da questo principio per comprendere la portata di questa legge, che ha definitivamente sancito lo status di bene prezioso e indisponibile degli animali selvatici. 

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Già affermato dalla precedente legge, la n. 968 del 1977, lo status della fauna quale patrimonio indisponibile della collettività è la garanzia fondamentale perché essa possa essere oggetto di conservazione e tutele adeguate. In passato, gli animali selvatici erano “res nullius”, cosa di nessuno, oggetti  dei quali chiunque, sebbene secondo determinate regole, poteva disporne. La crisi che nel tempo ha colpito molte specie animali – con la caccia eccessiva o la distruzione degli habitat – ha spinto la comunità internazionale, e molte comunità nazionali, a prevedere un sistema diverso, fondato sul principio dell’indisponibilità e di una più ampia protezione.

È quanto accaduto anche in Italia, dove la fauna selvatica da “cosa di nessuno” è diventata un bene collettivo da tutelare.

 La legge n. 157/1992, che recepisce buona parte della Direttiva Uccelli, ha proprio il compito di tutelare gli animali selvatici e regolamentare la caccia (la forma più diretta e diffusa di abbattimento degli animali selvatici) in modo che essa si svolga senza pregiudicare la conservazione di specie e popolazioni: rispettando i periodi consoni, evitando di esercitarsi su specie in stato di conservazione negativo, utilizzando mezzi e sistemi adeguati. In definitiva, potendo svolgersi solo se realmente “sostenibile” e in una disciplina “concessoria” (cioè, “per una concessione che lo Stato rilascia ai cittadini che la richiedano e che posseggano i requisiti previsti dalla presente legge”).

Composta da 38 articoli (i 37 originari più l’articolo 19 bis, introdotto nel 2002), la 157/1992 è una legge molto articolata, che funziona come “legge quadro”, cioè riferimento giuridico entro cui le regioni devono muoversi con le proprie normative di recepimento. Va infatti ricordato, in proposito, che la Costituzione italiana (e la stessa legge 157) assegna alle regioni i compiti di attuazione della materia venatoria, lasciando tuttavia in capo allo Stato il compito primario di tutelare la fauna e la biodiversità in genere (articolo 117, 2, lettera s  della Costituzione), stabilendo le misure minime e insormontabili di tutela.

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L’articolo 1 della legge 157/1992 sancisce i principi generali, gli strumenti di protezione (ad esempio la tutela delle rotte di migrazione) e i recepimenti delle normative internazionali.

L’articolo 2 afferma che tutte le specie di uccelli e mammiferi – la cosiddetta fauna “omeoterma” – viventi nel territorio nazionale, sono protette, elencando anche quelle specie che godono di protezione particolare.

I temi della cattura e dell’utilizzo degli uccelli sono trattati agli articoli 4, 5 e 6 (divieto di uccellagione, regolamentazione della cattura temporanea e dell’uso dei richiami vivi).

L’articolo 7 individua nell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS), oggi ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) l’autorità scientifica nazionale deputata a fornire la consulenza e i pareri sulle varie pratiche di gestione e utilizzo della fauna, nonché a incrementare le conoscenze su fauna e habitat naturali, mentre l’articolo 8 istituisce il Comitato Tecnico Faunistico Venatorio Nazionale quale organismo consultivo di carattere istituzionale e sociale (oltre a ministeri e soggetti tecnici, ne fanno parte anche associazioni venatorie, ambientaliste e agricole).

Gli articoli dal 9 al 16 si occupano della programmazione e dell’esercizio dell’attività venatoria (territori, mezzi, gestione programmata). Da segnalare la “quota” di aree di protezione, che non può scendere sotto una certa soglia in tutte le regioni (il 10% sulle Alpi, il 20% negli altri territori nazionali). Sono i Piani faunistico-venatori, predisposti dalle regioni, a doversi occupare del rispetto di tali soglie, oltre a dover fare attenzione che le popolazioni delle specie cacciabili non scendano al di sotto della dimensione ottimale.

L’articolo 18 elenca le specie cacciabili e i tempi di caccia: si possono cacciare solo determinate specie e solo in determinati periodi dell’anno, con i calendari venatori regionali da sottoporre al parere dell’autorità scientifica nazionale (ISPRA).

Gli articoli 19 e il 19 bis prevedono rispettivamente le attività di controllo della fauna e i meccanismi di deroga.

I divieti sono sanciti all’articolo 21, mentre gli articoli dal 27 al 33 sono dedicati ai temi della vigilanza e delle sanzioni per chi trasgredisce la legge.

In chiusura della legge l’articolo 35 che prevede la relazione sullo stato di attuazione delle sue norme, da realizzarsi attraverso le regioni e le amministrazioni centrali.

In definitiva, la 157 è soprattutto una legge sulla regolamentazione dell’attività venatoria, restando quindi viva l’esigenza di maggiori e più ampie previsioni tecnico-giuridiche su vari aspetti legati alla conservazione della natura. Le integrazioni alla legge, avvenute con la legge Comunitaria 2009 in risposta alle richieste della Commissione europea, hanno tuttavia introdotto alcuni nuovi e fondamentali passaggi per la conservazione della fauna, tra cui la necessità di mantenere o riportare le popolazioni di uccelli ad uno stato di conservazione soddisfacente (articolo 1, comma 1 bis), o il divieto di cacciare durante le fasi di riproduzione, dipendenza e migrazione prenuziale degli uccelli (articolo 18, comma 1 bis).