TARABUSO - Uccelli da proteggere

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Uccelli da proteggere
 
Specie protette dalla Direttiva UccelliSpecie protette dalla Direttiva Uccelli
Specie particolarmente protette dalla Direttiva UccelliSpecie particolarmente protette dalla Direttiva Uccelli
 

Specie particolarmente protette dalla Direttiva UccelliTARABUSO

NOME SCIENTIFICO: Botarus stellaris
 

Quando si sente minacciato, il Tarabuso assume una tipica posizione del collo e del becco tesi verso l’alto, che lo rendono simile a una canna. Difficilissimo da avvistare, per il suo piumaggio mimetico, il Tarabuso si rivela per il suo canto inconfondibile, che si ode nella notte e nel primo mattino anche a distanza di chilometri…

 

Ordine: Ciconiiformes   Famiglia: Ardeidae

Migratore piuttosto raro, il Tarabuso appartiene alla famiglia degli Ardeidi. Dal peso medio di circa 1,2 kg, può raggiungere un apertura alare superiore al metro. Si distingue per il suo piumaggio screziato, che gli permette di mimetizzarsi tra i canneti, l’ambiente in cui vive e si riproduce.

Piuttosto raro in Italia, il Tarabuso può essere definito, senza esagerare, il “signore” delle zone umide, gli ambienti che predilige e nei quali si riproduce. Le aree d’Italia che ospitano le popolazioni più importanti di Tarabuso sono incluse nelle regioni centro-settentrionali, dall’Umbria fino al Friuli-Venezia Giulia.

A differenza di quanto accade con altre specie, la popolazione di Tarabuso d’inverno aumenta: al contingente nidificante, infatti, si aggiunge un numero consistente di individui che scelgono il nostro Paese per trascorrere i mesi invernali, e specialmente gruppi provenienti dall’Europa centro settentrionale (Germania e Polonia) e dall’area Baltica (Lettonia, Svezia e Finlandia).

Gli studi condotti sul Tarabuso hanno individuato quelli che attualmente sono i principali siti di svernamento. Tra queste, i Laghi di Mantova e Laghi Briantei, in Lombardia, le Lagune di Grado, Marano e Panzano, in Friuli-Venezia Giulia, la parte centro orientale della pianura bolognese, le Valli di Comacchio e del Mezzano, la Bassa Modenese, in Emilia-Romagna. Quindi, più a sud, i Laghi Reatini, la palude di Colfiorito e la Maremma Grossetana. Infine il Biviere di Lentini, nella Piana di Catania, in Sicilia. Le aree di nidificazione coincidono in parte con questi siti, e si trovano principalmente nella Pianura padana (Piemonte, Emilia-Romagna, Alto Adriatico), Toscana e Umbria. Irregolare è la presenza del Tarabuso in Puglia e Friuli-Venezia Giulia, del tutto incerta e da confermare con ulteriori studi la presenza di coppie nidificanti in Sardegna e Lombardia.

In grado di tollerare le acque leggermente salmastre, il Tarabuso evita accuratamente le acque “acide” e le aree con troppi alberi ad alto fusto. Il classico stagno di pianura (o comunque a bassa quota, ad eccezione di quello a Colfiorito), con densa copertura vegetale, rappresenta l’habitat ideale per il Tarabuso, che costruisce il proprio nido a debita distanza da nidi di altri esemplari della stessa specie. Mentre la femmina si alimenta nei pressi

Prospettive

La frammentazione e l’esiguità delle popolazioni, la difficoltà dei censimenti, la sostanziale mancanza di parametri essenziali su demografia e successo riproduttivo non consentono di stimare, su basi scientificamente fondate, una “minima popolazione vitale” per il Tarabuso. Di certo, il declino di alcune popolazioni importanti a livello nazionale (Daccia Bortona e Massaciuccoli) compensa in negativo l’incremento delle popolazioni talvolta registrato a livello locale.

Più vulnerabile di altre alle modificazioni dell’habitat – inquinamento, deterioramento o distruzione dei canneti, disturbo da parte dell’uomo nelle aree di nidificazione – il Tarabuso vive in Italia una situazione precaria. Considerando poi che la frammentazione delle popolazioni rappresenta di per sé un ostacolo alla sopravvivenza nel lungo periodo di una specie, le azioni possibili per la tutela del Tarabuso devono partire dal consolidamento delle popolazioni più importanti, attraverso la tutela e la gestione dei canneti e delle zone umide.

Anche le aree un tempo importanti che ora ospitano popolazioni ridottissime di Tarabuso – o aree in cui la specie si è purtroppo già estinta – dovrebbero essere tutelate e “recuperate” dal punto di vista dell’idoneità ambientale, per garantire la sopravvivenza delle popolazioni residue e l’eventuale possibilità di ricolonizzazioni.

Non potendo ripristinare tutte le paludi e le aree umide bonificate nel corso dei secoli, una strada importantissima per tutelare il Tarabuso coinvolge invece le pratiche agricole. Oltre che da progetti di tutela delle poche paludi rimaste, infatti, il Tarabuso avrebbe molto da guadagnare da un adeguamento delle pratiche di risicoltura  in un senso più consono alle esigenze ecologiche della specie (dalla varietà di riso alle modalità di coltivazione e allagamento, fino, in particolare, al mantenimento di ‘isole’ di canneto e vegetazione naturale).

Minacce

Alcuni studi hanno evidenziato un incremento delle popolazioni di Tarabuso a livello locale. Trattandosi di numeri molto modesti, più che compensati dal declino delle popolazioni registrato a livello nazionale – e specialmente in alcuni tra i siti di nidificazione più importanti – è possibile affermare che lo stato di conservazione del Tarabuso in Italia non è affatto soddisfacente. La causa principale è da individuare nel progressivo degrado e riduzione degli habitat, non compensato da pur importanti azioni di ripristino a livello locale.

Legato alle medie latitudini, e a quegli ambienti apparentemente inospitali eppure ricchissimi di vita quali sono le paludi, il Tarabuso soffre non solo per il progressivo degrado e riduzione dell’habitat, ma deve affrontare anche le difficoltà connesse ai cambiamenti climatici, come per esempio la difficoltà – sempre maggiore – nel trovare suoli allagati durante i mesi di siccità estiva.

Dai gusti “difficili”, il Tarabuso preferisce sempre gli ambienti naturali e “disomogenei” ad ambienti artificiali quali canali e risaie. Anche i canneti, qualora secchi e mal conservati – come accade sempre più spesso a causa dell’eutrofizzazione e della mancanza di una gestione dedicata di queste aree – rappresentano comunque l’unico ambiente ove la specie si riproduce con certezza.

La stessa gestione della vegetazione acquatica, che spesso prende come unica regola l’esigenza di un efficace drenaggio delle acque, rischia di incidere negativamente sulla vita del Tarabuso. A fare il resto sono tecniche di coltivazione – per esempio nelle risaie, comunque un habitat importante per il Tarabuso – sempre più ostili alla specie. Riduzione e degrado dei “corpi idrici”, che risultano fra l’altro sempre più inquinati, costituiscono dunque i più importanti fattori di minaccia per questa specie.

Stato di salute

Paludi, acquitrini, canneti, pantani: tutti ambienti che in Italia si sono ridotti moltissimo, a causa dell’urbanizzazione, da un lato, ma soprattutto in conseguenza delle enormi operazioni di bonifica degli ultimi due secoli, che hanno ridotto ai minimi termini la percentuale delle zone umide presenti nel nostro Paese. Basti pensare che in epoca romana paludi e acquitrini ricoprivano circa il 10% del territorio nazionale, con una superficie pari a ben 3 milioni di ettari, contro i meno di 200mila censiti nel 1970.

Le popolazioni superstiti di Tarabuso sono piuttosto frammentate e nidificano nel nostro Paese in modo sparso e localizzato. Su 9.360 coppie nidificanti censite a livello comunitario (che rappresentano però non più del 23% della popolazione europea complessiva), solo 70-95 “maschi cantori” sono stati censiti sul suolo italiano.

Insomma, il Tarabuso in Italia è un uccello rarissimo, protetto dalla legislazione venatoria, incluso nella Lista Rossa Nazionale oltre che nella Direttiva Uccelli. Classificato come specie in pericolo, il Tarabuso è stato oggetto anche di un Piano d’Azione internazionale di salvaguardia, per arrestarne il declino e tutelare le poche popolazioni rimaste e i relativi habitat.

Pur rappresentando solo l’1% della popolazione europea, tutelare il Tarabuso in Italia significa non solo evitare la progressiva scomparsa della specie, ma soprattutto tutelare quegli “scrigni di biodiversità” quali sono le aree umide, considerando il legame importantissimo che esiste tra specie, habitat, biodiversità ed equilibrio generale degli ecosistemi.

Nonostante tutto, nel periodo tra il 1998 e il 2003, la popolazione censita di Tarabuso in Italia è risultata relativamente stabile, a parte alcune stagioni eccezionali (per esempio il freddo inverno del 2002). Il punto, come dimostrano gli studi sulla specie, è che individuare il Tarabuso è difficilissimo, poiché passa la maggior parte della propria vita al sicuro, nel fitto dei canneti.

Utilizzando il censimento al canto, molti rilevamenti vengono effettuati al tramonto, per individuare  eventuali esemplari dislocati nella palude, sebbene sia difficile anche stabilire i siti dove il Tarabuso si riproduce sicuramente : la scarsità di dati attendibili costringe a usare il condizionale per la maggior parte delle località, e non consente di stimare con esattezza neppure il successo di schiusa nei siti dove sicuramente il Tarabuso si riproduce. Il censimento del 2003, in ogni caso, ha fatto registrare 145 individui, presenti in una sessantina di siti, almeno il 50% in meno, in termini di popolazione complessiva, di quanto si poteva rilevare all’inizio degli anni Ottanta.

Semaforo

Sulla base dei censimenti realizzati, nel caso del Tarabuso è possibile proporre tre diverse schede di sintesi che mettono in evidenza lo stato di conservazione della specie. La prima fa riferimento alla “bioregione continentale”, e cioè a quelle aree dell’Italia settentrionale dove la specie ha mostrato locali incrementi (per esempio nelle zone umide ripristinate della pianura bolognese). Segue la tabella sullo stato di salute del Tarabuso nella “bioregione mediterranea”, in cui la specie appare in pesante declino in diversi contesti (ad esempio in Toscana) specialmente a causa del degrado progressivo dei relativi habitat. Infine la tabella su scala nazionale, che evidenzia in ogni caso un quadro non soddisfacente per lo stato di salute del Tarabuso nel nostro Paese.

Bioregione continentale:

Fattore Stato di salute Stato di conservazione
Range* in incremento favorevole
Popolazione Forse incremento ma ridotta inadeguato
Habitat della specie probabilmente stabile favorevole
Complessivo   inadeguato

*Variazione della popolazione negli anni

Bioregione mediterranea:

Fattore Stato di salute Stato di conservazione
Range* estinzioni locali cattivo
Popolazione in calo, ridotta cattivo
Habitat della specie localmente in calo o deterioramento cattivo
Complessivo   cattivo

*Variazione della popolazione negli anni

Su scala nazionale:

Fattore Stato di salute Stato di conservazione
Range* soggetto a oscillazioni inadeguato
Popolazione fluttuante, ancora ridotta cattivo
Habitat della specie localmente in calo o deterioramento inadeguato
Complessivo   cattivo

*Variazione della popolazione negli anni

Canto

Abilissimo nel mimetizzarsi tra i canneti, si fa notare per il suo canto inconfondibile, che può essere udito di notte o alle prime luci dell’alba, anche a distanza di chilometri. Ascoltare il canto del Tarabuso è un evento eccezionale: spesso, infatti, i tarabusi se ne stanno mimetizzati tra i canneti senza emettere alcun suono, e l’unico modo per osservarli è coglierli in volo all’imbrunire.