ALLODOLA
NOME SCIENTIFICO: Alauda arvensisIl canto dell’Allodola, lieve e armonioso, è stato fonte di ispirazione per numerosi poeti e letterati, a partire da Shakespeare, che definì questo uccello “messaggero del mattino”. Caratteristico infatti è il suo insolito comportamento al sorgere del sole durante la primavera e l’estate, quando lo si può vedere spiccare il volo verticalmente, mentre inizia a cantare ininterottamente. Subito dopo, plana a terra nuovamente, per poi tornare verso il cielo intonando da capo il proprio canto…
Ordine: Passeriformes
Famiglia: Alaudidae
L’Alauda arvensis nidifica dal livello del mare, nelle zone di campagna, in particolare i pascoli e i prati, e si può osservare anche nelle steppe, le dune sabbiose e in alta montagna. Nelle regioni meridionali l’Allodola, predilige anche le aree a pseudosteppa... Predilige comunque gli spazi aperti sia nelle aree di pianura che in alta quota. Durante la migrazione (soprattutto autunnale) si sposta spesso in piccoli stormi. Quando è a terra saltella agile e preferisce posarsi, in posizione accucciata, su muretti e bassa vegetazione, evitando i rami degli alberi.
La specie, durante il periodo della nidificazione, è distribuita tra Europa, Africa nord-occidentale e Asia. In inverno, solitamente, migra a sud del proprio areale, fatta eccezione per le popolazioni dell’Europa centrale e occidentale, che talvolta trascorrono la stagione fredda nel luogo della nidificazione. In Italia l’Allodola è specie nidificante, svernante e migratrice con presenza quindi di popolazioni diverse nel nostro Paese. Si ciba prevalentemente di semi, ma non disdegna insetti e larve, soprattutto nel periodo estivo e in quello della nidificazione.
Maschio e femmina presentano caratteristiche molto simili: la lunghezza varia tra i 16 e i 20 centimetri, il peso tra i 33 e i 48 grammi e la coda misura in media 7 centimetri. Caratteristica peculiare è il ciuffetto di piume sulla nuca, che l’uccello innalza solo se percepisce una situazione di pericolo. Le penne, di colore prevalentemente marrone, presentano sfumature più chiare nella parte inferiore e piccole striature scure tendenti al nero nella parte superiore. Queste stesse striature si presentano leggermente più larghe sul petto, con una tonalità color crema, intervallate da macchie castane che sfumano su collo e gola. La coda e la parte posteriore presentano una bordatura bianca. Le zampe sono lunghe, così come lo sperone (nel dito posteriore) che può raggiungere i 3 centimetri.
Durante la riproduzione mostra una natura tendenzialmente solitaria, a differenza del periodo invernale e della migrazione, quando si sposta in stormi, anche consistenti. L’Alauda arvensis è una specie monogama. La femmina viene aiutata dal maschio a costruire il nido, solitamente posizionato in depressioni del terreno circondate da bassi ciuffi d’erba secca. Tre volte l’anno vengono deposte in media 5 uova, che vengono covate per circa dieci giorni. Al termine dei primi dieci giorni di vita, i pulcini abbandonano il nido, anche se vengono nutriti dalla madre ancora per qualche tempo.
L’Alauda arvensis è oggetto di studi approfonditi in ambito europeo, mentre in Italia è stata finora interessata da indagini più superficiali, che non consentono una conoscenza d’insieme sufficientemente approfondita sull’ecologia della specie nel nostro Paese, ma anche sull’effettiva consistenza delle popolazioni. Lacune importanti si registrano infatti per quanto riguarda parametri demografici e biologia riproduttiva, conoscenze invece essenziali per impostare efficaci azioni conservazionistiche.
Sulla base dei dati a disposizione, è stato comunque possibile calcolare un FVR (valore di riferimento favorevole), che varia a seconda dell’ambiente. Per vasti ambienti aperti è ritenuta soddisfacente una densità di 3 coppie per ettaro a piccola scala e 50 coppie per chilometro quadrato a scala più ampia. Il Valore di Riferimento Favorevole per ambienti aperti più ridotti è probabilmente inferiore: una coppia per ettaro a scala locale e 10 coppie per chilometro quadrato a scala più ampia.
In base agli studi, restano tuttavia pochi dubbi sull’essenzialità per la specie – come oggi accade in buona parte del Paleartico orientale – della presenza e della conseguente possibilità di occupare ambienti con vegetazione erbacea di vario tipo, quali campi coltivati, pascoli, brughiere, prati, dune sabbiose, steppe. La presenza di alberi, siepi, cespugli sono invece elementi che non facilitano la nidificazione dell’Allodola, tanto che sulle Alpi questa specie si spinge oltre i 2.000 metri, per andare a occupare le praterie oltre il livello degli alberi, mentre in autunno e inverno è frequente che si sposti su campi e prati nei fondovalle.
In Italia è comunque urgente considerare in modo serio le conseguenze dell’attività venatoria ed escludere al più presto l’Allodola dall’elenco delle specie cacciabili. Ferme restando le previsioni della stessa direttiva Uccelli che, all’art. 7, limita l’attività venatoria anche per le specie cacciabili escludendo in ogni caso il periodo della nidificazione e le varie fasi della riproduzione.
Diversi sono i fattori che hanno determinato la frammentazione e la rarefazione della popolazione di questa specie e, tra questi, è possibile individuarne tre principali: l’intensificazione delle pratiche agricole, che ha frammentato eccessivamente gli habitat adatti alla nidificazione della specie e causato danni attraverso l’uso di pesticidi; l’abbandono delle aree rurali montane; un’attività venatoria rimasta legale nonostante il cattivo stato di salute in cui versa la specie.
Di fronte a queste minacce, un primo accorgimento al fine di preservare la sopravvivenza dell’Allodola è senz’altro rappresentato dall’organizzazione di pratiche colturali che rispondano alle esigenze dell’animale durante la riproduzione. Come moltissime specie, anche questa ha risentito fortemente delle modifiche delle pratiche agricole. Un vantaggio può derivare dal fatto che, per la nidificazione, l’Allodola sceglie diverse tipologie di vegetazione erbacea, dimostrando quindi una buona adattabilità: dai campi coltivati ai pascoli o le brughiere, dai prati nelle vicinanze degli aeroporti alle dune sabbiose.
Affinché la stagione riproduttiva sia proficua la specie necessita comunque di diverse tipologie di coltivi. In caso contrario, è costretta ad ampliare o abbandonare il territorio di nidificazione. È quindi necessario, al fine della conservazione della specie, mantenere una vegetazione non omogenea nell’arco della stagione, con il mantenimento delle stoppie di cereali in inverno, fino a febbraio, il mantenimento di prati, aree incolte e pseudosteppa, purtroppo convertiti di frequente in campi di semina o in altri usi del suolo, nella stagione riproduttiva.
Per garantire il successo riproduttivo è inoltre consigliabile una programmazione degli sfalci e dei raccolti nelle aree coltivate. Altri fattori che concorrono a preservare le popolazioni di allodole fanno naturalmente riferimento a un utilizzo più contenuto possibile di pesticidi, colpevoli di annientare gli insetti e avvelenare spesso in modo irreversibile l’ambiente. Ulteriore minaccia per la conservazione della specie è rappresentata dai predatori: il 90% delle perdite in periodo di nidificazione è infatti da ricondurre a questo fenomeno, che sembra essere proporzionale alla densità dei nidi.
L’Allodola risulta al momento classificata come in declino nell’Unione europea, ma anche a livello continentale presenta uno stato di conservazione sfavorevole. Sul cattivo stato di salute di questa specie, in Italia pesa negativamente – e ulteriormente – il fatto che risulta ancora cacciabile, in base alla legislazione venatoria vigente. Inoltre, ad oggi non è stato redatto alcun Piano d’azione, né nazionale né internazionale, sull’Alauda arvensis . La specie, oltretutto, non figura nella Lista Rossa Nazionale, mentre è inserita nell’Allegato II/2 della Direttiva Uccelli.
I segnali del declino, del resto, non rappresentano un fenomeno circoscritto agli ultimi anni: già tra il 1970 e il 1990 la popolazione nidificante dell’Unione europea risultava in ampia diminuzione, che si è fatta però più moderata negli anni Novanta. Il numero di coppie presenti sul territorio dell’Europa a 25 si aggira tra i 17 e i 32milioni, mentre in Italia oscilla tra le 500mila e il milione. La popolazione italiana rappresenta circa il 3% di quella dell’Unione europea e l’1,25% di quella continentale.
Nel nostro Paese la popolazione mantiene un trend negativo di crescita, con casi di decremento e stabilità a seconda della regione considerata. Dati recenti, rilevati tra il 2000 e il 2009, indicano in Italia un declino moderato del 3,6% circa. Indicativo poi il dato sulla densità delle popolazioni: se il valore massimo oscilla tra le 75 e le 200 coppie per chilometro quadrato a seconda delle aree geografiche, è dunque difficile trovare, anche localmente, più di 2 coppie per ettaro. Più precisamente, in Italia l’intervallo è compreso tra le 0,2 coppie per chilometro quadrato rilevate in Piemonte e le sei coppie censite in Lombardia a parità di superficie.
Preoccupante il calo che si è registrato nel territorio lombardo: in 15 anni si è registrata una diminuzione dell’80% delle coppie. Il trend negativo si conferma anche a livello provinciale: a Pavia, in una zona collinare di 7,6 ettari, il numero di coppie per chilometro quadrato è passato da 3,3 a 1,3. In Piemonte la densità delle coppie si attesta tra una e 3,3 per 10 ettari in provincia di Novara, mentre a Torino, sulla stessa superficie, si aggira intorno a una coppia. Densità più alte, a parità di superficie, si registrano in Lunigiana (3,2 coppie) e in Lazio (0,2-3,7 coppie).
La specie si caratterizza sia in Europa sia in Italia per un brusco calo demografico determinato da cambiamenti nel settore agricolo – elevata meccanizzazione, uso di pesticidi e fertilizzanti, tagli e raccolti ravvicinati – e dall’abbandono del pascolo nelle aree montane. Forte riduzione e frammentazione delle popolazioni, di pari passo con il progressivo degrado degli habitat, sono alla base del giudizio complessivo sullo stato di salute della specie, che ad oggi può definirsi cattivo. .
Fattore | Stato di salute | Stato di conservazione |
Range* | in rarefazione | inadeguato |
Popolazione | in calo | cattivo |
Habitat della specie | qualitativamente molto peggiorato dagli anni Cinquanta e Sessanta | cattivo |
Complessivo | cattivo |
*Variazione della popolazione negli anni
L’Allodola canta mentre spicca il volo salendo verticalmente verso il cielo. Il suo canto è melodioso e armonioso, anche se talvolta può diventare leggermente stridulo e tendente al metallico. Il ritmo risulta dapprima più accelerato, per poi rallentare. La tonalità è ondulatoria: inizialmente ascendente, discendente in un secondo momento.