BIGIA GROSSA - Uccelli da proteggere

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Uccelli da proteggere
 
Specie protette dalla Direttiva UccelliSpecie protette dalla Direttiva Uccelli
Specie particolarmente protette dalla Direttiva UccelliSpecie particolarmente protette dalla Direttiva Uccelli
 

Specie protette dalla Direttiva UccelliBIGIA GROSSA

NOME SCIENTIFICO: Sylvia hortensis
 

Questa specie non ama particolarmente il volo e preferisce muoversi, furtiva, tra la vegetazione. In Italia è poco diffusa e, anche per un occhio esperto, può essere facilmente confusa con la Capinera. Per costruire il nido preferisce le campagne dell’Europa mediterranea o le vallate alpine più calde e assolate, che occupa con pochissimi individui. Tutti comportamenti che rendono la Bigia grossa una specie molto elusiva e difficile da individuare…

Minacce

Almeno in passato, i decrementi registrati a livello locale vanno probabilmente ascritti a cause antropiche. Come per altre specie legate agli ambienti aperti, l’abbandono dei paesaggi agricoli di tipo tradizionale ha comportato infatti una drastica riduzione delle possibilità di occupazione da parte dell’avifauna, fino alla scomparsa di talune specie dovuta al ritorno del bosco.

Difficile da valutare sulla base dei dati sugli inanellamenti – le segnalazioni in Italia si riferiscono quasi unicamente a soggetti in migrazione primaverile, con numeri troppo esigui per individuare trend significativi – la specie è presente, se pure con popolazioni ridotte all’osso, in quasi tutte le regioni dell’Italia centro-settentrionale. In Piemonte e Valle d’Aosta si segnalavano 5-15 coppie tra il 1980 e il 2000. Del tutto scomparsa dalla provincia di Pavia – ove storicamente erano censite 2-10 coppie – è stata storicamente presente in provincia di Brescia, con un massimo di 10 coppie concentrate sul lago di Garda: in generale, la specie in Lombardia appare in netta diminuzione, mentre in Veneto è probabilmente presente sui Colli Euganei.

In Emilia-Romagna, la specie è verosimilmente presente in provincia di Parma (3 coppie), Bologna (19 coppie tra il 1995 e il 1999), mentre in Romagna (Forlì-Cesena, Ravenna) e Repubblica di San Marino la specie era estremamente rara già tra il 1970 e il 1990. Più consistente la popolazione Toscana, ove erano censite 50-200 coppie all’inizio degli anni ’90.

Principali responsabili del declino della specie sembrano essere, in Italia, le modifiche intervenute nelle pratiche di gestione del suolo nell’area prealpina e nel pedemonte appenninico. Altrove – per esempio in Asia – sono stati individuati altri fattori di minaccia come una diminuzione del successo riproduttivo causato dai predatori (Dryomys nitedula  e Lanius isabellinus ), mentre effetti sulle popolazioni potrebbero derivare anche dalle mutevoli condizioni riscontrate nei quartieri africani di svernamento, dove la specie predilige aree con buona presenza di alberi adattandosi tuttavia anche a savane e cespuglieti.