

AVERLA CAPIROSSA
NOME SCIENTIFICO: Lanius senator
La lunga coda, il dorso nero con evidenti “spalline” bianche e, soprattutto, la parte superiore della testa rossa, meno brillante nella femmina: sono questi i tratti distintivi dell’Averla capirossa, specie sempre più rara alle nostre latitudini. La sua presenza può essere notata, però, anche dai segni che lascia sul terreno: i grossi invertebrati che caccia con il becco adunco – tipico delle averle – vengono infilzati ai rami spinosi di arbusti come rose canine, prugnoli o biancospini, che diventano così vere e proprie riserve di cibo a cielo aperto...
Minacce
Come per altre specie di averle e di uccelli che prediligono gli ambienti aperti, un fattore critico per la sopravvivenza dell’Averla capirossa è rappresentato dalla progressiva scomparsa delle praterie arbustate e degli altri ambienti aperti ed ecotonali essenziali per la vita della specie. In molte aree, la perdita o riduzione degli ambienti aperti ne ha comportato il declino o addirittura l’estinzione locale. In altre, l’eliminazione dei frutteti un tempo presenti al margine dei paesi ha comportato un ulteriore decremento dell’habitat idoneo.
Simile effetto negativo è derivato dall’intensificazione delle pratiche agricole in aree in precedenza a conduzione non intensiva. Anche la predazione al nido può costituire un ulteriore fattore critico per la specie: nella Francia mediterranea, ad esempio, è probabilmente questa la causa del successo riproduttivo molto basso, pari ad appena il 36.5%; parimenti, nel Lazio, è stato osservato come il 29,6% delle coppie di Averla capirossa abbia fallito la prima riproduzione a causa dei predatori.
Questi fattori restano comunque di secondaria importanza rispetto alla perdita di habitat. In particolare, il mantenimento di alberelli e cespugli di buona altezza può favorire la specie proprio in quelle aree dove la predazione mostra un’elevata incidenza sul successo riproduttivo. Tra i fattori che influenzano la mortalità della specie mostra una rilevanza statistica anche la maggiore o minore altezza alla quale viene costruito il nido: più i nidi sono alti – e, quindi, più è ampia la disponibilità di grandi alberi – meno le covate sono soggette a predazione.
Nel Lazio, la specie occupa spesso ambienti con presenza di aree relativamente urbanizzate, raramente, però, si spinge ove la superficie coperta da edifici supera il 10% del totale. In provincia di Vicenza, l’Averla capirossa predilige le aree rurali, con alberi moderatamente distanti idonei alla costruzione del nido e superfici aperte con vegetazione bassa e rada, utilizzate come zone di caccia: la progressiva contrazione di questi ambienti per far spazio all’agricoltura intensiva è probabilmente la causa principale del declino registrato in quest’area.
Più a sud, sui Monti della Tolfa, sono state osservate densità non superiori a 5 coppie per kmq, con una percentuale rilevante – circa un quarto del totale – di nidificazioni isolate. In Sicilia, la specie predilige ambienti collinari e zone incolte, nidificando in mandorleti, pascoli di collina con alberi sparsi, vigneti vicini a campi aperti e alberi sparsi, rimboschimenti misti e diradati a un’altezza media dal suolo pari a 3 metri.