FROSONE
NOME SCIENTIFICO: Coccothraustes coccothraustesIl suo principale tratto distintivo è il becco, tozzo e potente, che può sviluppare una forza pari a 45 kg e, nella stagione degli amori, assume una sgargiante tonalità blu elettrico. Grazie alla sua potenza, permette alla specie di cibarsi di semi di frutti carnosi, anche dei noccioli durissimi di ciliegie e pesche che riesce tranquillamente a frantumare. Per il resto, il Frosone è un uccello schivo e silenzioso e trascorre molto tempo sulle cime degli alberi nascosto tra il fogliame, dove sosta spesso in piccoli gruppi. Quando però si muove sul terreno è riconoscibile anche per un altro tratto distintivo: la tipica camminata eretta e saltellante…
Ordine: Passeriformes Famiglia: Fringillidae
Il Frosone è il più grande e il più robusto tra i Fringillidi: nonostante la coda piuttosto corta può raggiungere, infatti, i 17 centimetri di lunghezza, per 60 grammi di peso. Le differenze tra i sessi non sono molto evidenti, anche se i colori della femmina appaiono, in generale, più sbiaditi. La tonalità prevalente della livrea è il marrone, con cappuccio color nocciola e fascia grigia intorno al collo. Mostra pizzo e mustacchi neri, ali anch’esse nere con fascia bianca, ventre bianco. Tipico è il grosso becco, di colore blu metallico in periodo riproduttivo e giallastro durante la stagione fredda.
È distribuito in quasi tutti i continenti, dalle Isole Britanniche fino al Giappone. Nel Paleartico occidentale l’areale riproduttivo è ampio ma frammentato, in quanto legato a una buona disponibilità di latifoglie produttrici di semi “duri”, alla base della sua dieta. Tre le sottospecie note, delle quali la sottospecie nominale C. c. coccothraustes abita il vecchio continente, Italia compresa.
In Italia nidifica in prevalenza nelle zone montuose, con netta prevalenza di Alpi e Appennino centrale, mentre è del tutto assente dalle estreme regioni meridionali e dalla Sicilia. Una popolazione isolata abita invece la Sardegna. Come tutti i granivori, il Frosone si nutre di semi ma, rispetto ad altri Fringillidi, predilige le gemme fresche e la frutta, come le ciliegie, di cui spolpa anche il nocciolo.
Il nido, a forma di coppa, viene costruito quasi esclusivamente dalla femmina sugli alberi utilizzando ramoscelli, piccole radici, licheni. Le uova deposte sono in media 5, per una sola covata l’anno. Il maschio partecipa saltuariamente alla cova, che si protrae per 12-14 giorni. I pulcini sono nutriti da entrambi i genitori e lasciano il nido all’età di 10-14 giorni.
Specie assai poco conosciuta, anche per quanto riguarda sua la distribuzione, a causa dell’elevata elusività. La quasi totale assenza di dati per l’Italia – unita alla scarsità di informazioni a livello europeo – rende difficoltosa la definizione di valori di densità da utilizzare come riferimento per fissare un Valore di Riferimento Favorevole (FRV). Il tutto è ulteriormente complicato dalla tendenza della specie di nidificare in situazioni semi-coloniali.
Trattandosi di specie inserita nella Lista Rossa Nazionale, è certamente auspicabile la realizzazione di attività di regolare monitoraggio della popolazione nidificante, allo stato attuale verosimilmente sottostimata. Questo con particolare riferimento alle popolazioni numericamente più importanti, presenti nell’Italia settentrionale e centrale, e alla popolazione sarda.
Nel complesso, è stato riscontrato come lo stato di salute delle popolazioni principali sia tendenzialmente migliore nelle aree di montagna e media collina, ove la specie può trovare buona disponibilità di cibo e ambienti idonei alla costruzione del nido. Più sfavorevole la situazione in ambito planiziale, ove la specie è quasi scomparsa a causa dell’avanzata dell’urbanizzazione e dell’agricoltura meccanizzata, un declino che sta cominciando a interessare, in alcune zone, anche le aree di bassa collina.
Il controllo delle attività illegali di cattura e detenzione, particolarmente impattante su questa specie, potrebbe infine avere un effetto notevolmente positivo sul trend delle popolazioni.
Il Frosone rientra tra le specie vittime dell’uccellagione illegale e del prelievo al nido da parte di allevatori. La specie beneficerebbe inoltre del mantenimento di aree agricole coltivate in modo tradizionale; in particolare può trovare giovamento dalla presenza di incolti erbacei e dal mantenimento di siepi, filari e alberi isolati.
Una conferma in questo senso arriva dalla popolazione censita in provincia di Padova, ove la specie risulta del tutto assente dalle aree pianeggianti a causa del progressivo estendersi di un’agricoltura intensiva e della quasi totale scomparsa di boschi, siepi e filari. Altrove stabile o in locale incremento – come in provincia di Gorizia – la popolazione della specie appare in ogni caso difficile da stimare a causa, tra l’altro, della sua elusività (è questo il caso del Piemonte, ove il recente Atlante fornisce un quadro che verosimilmente non rispecchia la reale distribuzione della specie e non risulta confrontabile con le precedenti rilevazioni).
In termini generali, certamente impattante sulla specie è il fenomeno della predazione, soprattutto da parte dello Sparviere, sia nei confronti dei pulcini sia degli individui adulti. È stata riscontrata un’incidenza più elevata della predazione nei confronti delle covate più precoci, in quanto meno nascoste dalla vegetazione e più esposte a predatori quali Averla piccola, Ghiandaia, Scoiattolo e Martora.
Un ulteriore fattore che incide negativamente sulla riproduzione è rappresentato dal maltempo, anche a causa dell’estrema fragilità del nido. I dati evidenziano un successo riproduttivo più alto per le coppie coloniali rispetto a quelle solitarie, soprattutto perché nel primo caso i predatori possono essere allontanati con più efficacia.
Lo stato di conservazione del Frosone viene valutato come favorevole sia livello continentale sia all’interno dell’Unione europea. In quest’ultima area, le popolazioni hanno mostrato trend orientati alla stabilità, sia nel periodo 1970-1990 sia nel successivo decennio, 1990-2000, quando però la specie ha mostrato segni di declino in alcuni Paesi.
La popolazione nidificante dell’Ue è ad oggi stimata in 880.000-1.900.000 coppie, pari al 37-45% della popolazione continentale complessiva e a una frazione compresa tra il 5% ed il 24% della popolazione globale della specie. La popolazione nidificante italiana, stimata in 5.000-15.000 coppie, rappresenta meno dell’1% della popolazione “comunitaria”, e una percentuale ancora minore di quella continentale complessiva, limitando così il ruolo del nostro Paese per la conservazione della specie.
Specie particolarmente elusiva, la sua presenza nel nostro Paese è probabilmente sottostimata. Buona diffusione – pur con presenze localizzate – si registra sulle Alpi e nell’Appennino centrale e settentrionale, con nidificazioni che si spingono fino alla Campania e al Gargano. Del tutto disgiunto è l’areale sardo, ove la specie risulterebbe ben distribuita tra le macchie mediterranee, le foreste e gli ambienti agricoli dell’isola.
Pur essendo la popolazione nazionale della specie di rilevanza modesta in termini assoluti, il nostro Paese rappresenta anche un’importante area di transito – e di svernamento – per soggetti in migrazione. Come per altri Fringillidi, il numero di soggetti marcati mostra ampie variazioni tra un anno e l’altro, correlate alla disponibilità di cibo nelle aree di nidificazione. La maggior parte delle rilevazioni effettuate si riferiscono a soggetti inanellati nel corso della migrazione autunnale, generalmente provenienti da nord est. I principali siti di ricattura sono concentrati a nord e a sud della Pianura Padana, fino al limite meridionale di Marche e Lazio.
Il Frosone è considerato specie a più basso rischio nella Lista rossa nazionale, a causa dell’areale disgiunto tra Italia centro-settentrionale e Sardegna. Risulta inoltre specie non cacciabile in Italia ai sensi della legislazione venatoria (157/92).
Stante la mancanza di conoscenze sufficienti per definire un Valore di Riferimento Favorevole (FRV) per la specie, lo stato di salute delle popolazioni italiane può ritenersi inadeguato anche a causa della contrazione dell’habitat idoneo e al progressivo – e conseguente – restringimento dell’areale di presenza.
Fattore | Stato | Stato di conservazione |
Range* | In contrazione in ambito planiziale | Inadeguato |
Popolazione | Dati non sufficienti | Sconosciuto |
Habitat | In declino in ambito planiziale | Inadeguato |
Complessivo | Inadeguato |
*Variazione della popolazione negli anni
Bioregione alpina e continentale
Particolarmente critico si presenta il quadro nelle aree di pianura, ove la specie soffre per la quasi totale scomparsa delle formazioni – siepi, filari, alberi isolati, ecc – tradizionalmente idonee alla costruzione del nido. Modificazioni dell’habitat che si stanno progressivamente estendendo anche alle aree di bassa collina.
Fattore | Stato | Stato di conservazione |
Range* | In contrazione in ambito planiziale | Inadeguato |
Popolazione | Dati non sufficienti | Sconosciuto |
Habitat | In declino in ambito planiziale e parzialmente in ambito collinare | Inadeguato |
Complessivo | Inadeguato |
*Variazione della popolazione negli anni
Bioregione mediterranea
Lo stato di salute delle popolazioni è sconosciuto, così come la reale distribuzione della specie la cui presenza è accertata fino alle propaggini settentrionali della bioregione mediterranea. Anche la popolazione sarda, probabilmente sottostimata, necessita di ulteriori approfondimenti e attività di monitoraggio.
Fattore | Stato | Stato di conservazione |
Range* | Dati non sufficienti | Sconosciuto |
Popolazione | Dati non sufficienti | Sconosciuto |
Habitat | Dati non sufficienti | Sconosciuto |
Complessivo | Sconosciuto |
*Variazione della popolazione negli anni
Difficile avvistarlo, a causa della sua elusività e dell’abitudine di nascondersi e nidificare nel folto degli alberi. Più agevole è udirne il richiamo, un gradevole susseguirsi di brevi note cristalline.